6° Capitolo: Why I feel this way?
La sveglia, puntuale, suonò. Ecstasy si mise a sedere sul letto, si stropicciò gli occhi e rimase immobile, quasi si fosse riaddormentata. Quell’ ipotesi, però, fu subito abrogata quando decise finalmente di alzarsi, anche se molto assonnata.
Dopo essersi preparata, andò in cucina. I suoi nonni non c’erano. Erano andati a casa della zia, che purtroppo non stava per niente bene, quindi era rimasta sola a casa. Uscì. Quel giorno aveva fatto presto, aspettò Monji come ogni mattina, ma stranamente non si fece vedere.
Decise di chiamarla, non era da lei fare tardi, di solito è un fulmine!
-Pronto?- disse Monji sottovoce.
-Dove sei?- urlò invece Ecstasy, nervosa.
-Ahm… Mentre venivo a casa tua ho incontrato Minho, sto andando a scuola con lui, scusa!- disse tutto d’un fiato Monji.
Ecstasy sapeva che la sua amica aveva una cotta per Minho e che quella era un’opportunità che non si sarebbe ripetuta molte volte, quindi non si arrabbiò con lei.
-Davvero? Poi mi racconti tutto! Non preoccuparti vado a scuola da sola, tu... Mi raccomando- esclamò felice Ecstasy.
-Ahah, certo! Ciao, ci vediamo a scuola!- disse Monji, chiudendo la chiamata.
Ecstasy era rimasta sola e, giacché non le restava molto tempo e il tragitto da percorrere era lungo, decise di prendere una scorciatoia.
Prese il cellulare e gli auricolari e ascoltò un po’ di musica, fino a quando due dita le puntellarono la spalla. Si levò una cuffia e si girò con il viso corrucciato, che poi si rilassò alla vista di un Taemin sorridente intento a sventolare la mano in segno di saluto. Non aveva una bella cera quella mattina.
-Che ci fai qui tutta sola? Non è una buona strada per una ragazza, sai?- disse Taemin con un sorriso malizioso.
-Eh?- chiese Ecstasy con gli occhi spalancati.
-Potresti fare brutti incontri- e con un piccolo stimolo alla schiena della ragazza, data dalla sua mano, incominciarono a camminare insieme in quella stradina buia, dove il sole poco passava a causa degli alberi.
-Come sta il tuo piede?- chiese indicando con lo sguardo spento il suo piede.
-Oh, questo. Non mi fa più male- guardò in basso e sorrise. –Hai la scarpa slacciata- disse Ecstasy, dopo aver spostato i suoi occhi verso le scarpe di Taemin.
Taemin si abbassò per allacciarle. –Tu va avanti- rispose lui –Poi ti raggiungo-.
-Per cinque secondi posso anche aspettare- disse lei, dondolandosi nelle punte.
-No, no… Dai vai avanti- disse il ragazzo spingendo le gambe della ragazza con la mano.
-Va bene, se lo dici tu- proferì sospettosa lei ‘Che non sappia allacciarsi le scarpe? No, assurdo!’
Girò l’angolo: Taemin vedendo la ragazza scomparire prese il cellulare, che aveva incominciato a vibrare quando Ecstasy lo aveva avvisato dei lacci.
-Che vuoi, Jinki?- chiese scazzato, mentre si allacciava la scarpa molto lentamente.
-Dove cazzo eri ieri sera? Perché non sei venuto?- domandò Jinki, arrabbiato.
-A casa a leggere un libro- disse Taemin guardandosi le unghie.
-Ahahah, tu? Leggere un libro? Cazzo. Potevi inventarne una più credibile!-
-Non sto scherzando, ved-- Un urlo lo zittì. Riconobbe subito il proprietario di quella voce: era Ecstasy.
Chiuse il telefono in faccia a Jinki e corse dalla ragazza.
Tre ragazzi la stavano circondando con sguardo perfido.
-Che ci fa una bella signorina qui?- chiese uno, ridendo.
-Vieni a farti un giro con noi, ahah.- continuò un altro afferrandole il braccio.
-Lasciatela stare!- urlò Taemin
-Siamo in tre, che vorresti fare?- chiese uno avvicinandosi a lui.
-Ve lo dirò solo un’altra volta: lasciatela stare-
-E farci sfuggire questo bel bocconcino? Mai!-
Taemin gli sferrò un pugno facendolo indietreggiare.
Gli altri due ragazzi, che prima avanzavano verso Ecstasy, cambiarono direzione.
Taemin prese il braccio di uno dei mascalzoni e lo fece cadere a terra. Poi passò all’altro delinquente, dandogli un pugno in faccia, facendolo così sanguinare.
Il capo della banda, che per primo aveva ricevuto il suo servizietto, gli diede un calcio nello stomaco, facendolo cadere. Terminò dandogli un pugno.
-Ecstasy scappa!- urlò allora Taemin alla ragazza, che osservava spaventata, ma lei prese un pezzo di legno e attribuì un colpo in testa a quello che stava per ferire nuovamente Taemin.
Il ragazzo diede un calcio nelle palle al prepotente. Prese il pezzo di legno, datogli da Ecstasy, e iniziò a colpire gli altri due ragazzi che, ormai sanguinanti, scapparono trascinandosi dietro il loro amico dolorante.
-Ti avevo detto di scappare o sbaglio?- chiese Taemin a Ecstasy. Il ragazzo si accasciò a terra, sfinito. -Potevano farti del male, lo sai?- continuò.
-Se me ne sarei andata, a quest’ora non respireresti.- disse lei, prendendo un fazzolettino e la bottiglietta d’acqua. –Vediamo un po’- si avvicinò a Taemin che, corrucciato, si scostò.
-Sta ferma!- gli levò il fazzolettino di mano e lo tenne premuto nel labbro sanguinante. Ecstasy alzò un sopracciglio. -Dammi qua!- stava per levargli il fazzolettino ma lui spostò il braccio. Quanto testone poteva essere?
-Andiamo- disse poi Taemin alzandosi, ma cadde a terra appena si drizzò in piedi.
-Taemin, che hai? E’ per colpa del calcio?- chiese Ecstasy tenendolo. Il cuore le batteva a mille, non sapeva che fare.
-Nonna capirà.- fece appoggiare Taemin a se,
e lo portò a casa sua.Arrivati davanti alla porta di casa di Ecstasy, il ragazzo cominciò a tossire, poi svenne.
Ecstasy, spaventata, gli diede colpetti nelle guance per farlo rinvenire. La fronte era imperlata di sudore.
Con le ultime forze entrarono in casa, ed Ecstasy lo fece distendere sul suo letto.
****
Si era appena svegliata. Alla velocità della luce si vestì e dopo neanche quattro minuti fu pronta. Scese a fare colazione: quella mattina sua madre le aveva fatto delle fette biscottate con la nutella.
Anche lei profumava di cioccolato. Questo era uno dei tanti motivi del perché Ecstasy l’ abbracciava sempre;
Decise di uscire, anche se era ancora presto.
S’ incamminò verso la casa di Ecstasy a passo molto lento: sapendo che la sua amica stava ancora dormendo sotto le coperte.
-Ehi, Monji!- la ragazza dalla carnagione chiara tornò sulla terra e, se qualche secondo fa osservava prima il terreno, poi il cielo, adesso si ritrovava a guardare un miracolo. La persona che non si sarebbe mai immaginata pronunciasse il suo nome: Minho.
-C-ciao!- balbettò Monji, ancora scossa.
-Prendi di qua per andare a scuola? Non ti ho mai visto la mattina prendere questa strada.- disse lui, avvicinandosi a Monji.
-Sì, di solito passo di qua un po’ più tardi. Oggi ho fatto prima.- rispose Monji guardando per terra.
-Allora andiamo?- chiese lui, mandandole uno di quegli sguardi da infarto.
-Dove?- disse lei.
-A scuola.- esalò lui, guardandola male.
-Ah già... Ahm, veramente io..--
-Oh! Forse non vuoi la mia compagnia?- domandò lui, grattandosi la testa.
-I-io? No, no! Anzi, mi fa piacere.- sul suo viso spuntò un sorriso timido e incominciò a dondolarsi sulle punte.
Presero a camminare, Minho era calmo e abbastanza sereno. Non sembrava per niente agitato, al contrario non si poteva dire lo stesso per Monji che ad ogni sfiorata di mano le veniva un micro infarto.
-Ti iscriverai alla gara di corsa?- chiese Monji, cercando di prendere un discorso.
-Certo, come ogni anno. Molti studenti credono in me e nelle mie potenzialità, quindi non posso deluderli.- rispose serio Minho. –E tu?- chiese poi.
-Non lo so, non credo. Sono sicura di poter battere tutti, però non vorrei rovinare la figura di qualcuno- disse Monji vaga.
-Pensi forse di essere più veloce di me?- chiese a un tratto Minho fermandosi e fulminandola.
-Potrebbe anche essere-
-Tsk, e come lo sai?- chiese avvicinandosi di più alla ragazza.
-Perché... Io bevo Red Bull, che mi mette le ali- rise, rise con la risata più pura che aveva nel repertorio. Tanto che Minho ne rimase shockato.
Il fiato gli si spezzò, non capiva il perché. Sapeva solo che in quel momento non concepiva più niente. Riusciva solo a sentire l’odore del cioccolato dei suoi capelli che s’impossessava delle sue narici.
Tutto fu spezzato da Monji che si mise a saltellare per andare un po’ più avanti di lui.
Nell’ultimo saltello non vide una pietra e cadde.
Minho si riprese dal suo stato di trans e vedendo la ragazza a terra si mise una mano in fronte, quasi fosse stato uno sbaglio invitarla ad andare a scuola con lui.
-Ehi! Stai bene?- chiese lui porgendole la mano.
-Sì, grazie- l’ afferrò e si fece leva per alzarsi.
Una scossa elettrica.
-Uh, Ecstasy mi sta chiamando!- commentò Monji, non badando al ragazzo che sembrava alquanto confuso.
-Pronto?-rispose Monji.Forse Minho sapeva cosa fare: bere dell’acqua fresca.
-Ahm, mentre venivo a casa tua…-Ma il bello era che... Non aveva sete.
****
Era disteso nel letto di Ecstasy, non si muoveva di un millimetro.
Ecstasy gli levò le scarpe e la cintura, poi gli alzò le gambe.
-Andiamo, riprenditi Taemin!- disse preoccupata, dandogli colpetti in faccia.
Scese in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Taemin si riprese. Era molto debole, non riusciva a focalizzare bene la situazione.
Ecstasy gli mise una mano nella fronte –Ma tu hai la febbre!- sbottò.
-Mh- riuscì a dire Taemin. –E tu ti sei messo contro quei tre, pur avendo la febbre? Idiota.- commentò Ecstasy continuando a guardarlo.
Andò in bagno a prendere un panno e una bacinella con dell’acqua fredda. Immerse il panno nell’acqua ghiacciata e glielo mise sulla fronte.
-Forse è meglio che vada in farmacia a comprare le medicine- disse Ecstasy a Taemin, cercando di non fargli perdere i sensi un’altra volta.
La ragazza si alzò dal letto, dove era seduta, ma una mano morbida la fermò per il polso, in modo delicato. –Non andare, per favore- Ecstasy si bloccò, si girò verso Taemin che continuava a tenerla. Il suo sguardo rispecchiava una persona forte; Che soffriva dentro ma che non lo dava a vedere; Che affrontava tutto, ma in silenzio; Che in quel momento aveva bisogno di aiuto, ma non voleva chiederlo.
Taemin abbandonò la sua mano sul letto, lasciando il polso di Ecstasy.
-Resto qui- sussurrò la ragazza, inginocchiandosi sul pavimento accanto al comodino dove continuava a bagnare il panno.
Il collo e il viso di Taemin erano imperlati di sudore.
Passarono diverse ore, la febbre di Taemin era scesa. Adesso dormiva tranquillamente. Sembrava un angelo.
Ecstasy si guardò le mani: una teneva quella di Taemin, l’altra era abbandonata sul suo ginocchio. Erano invecchiate, per i troppi bagni d’acqua, ma non le importava granché. L’unica cosa che adesso le importava era che Taemin non stava più male.
Lentamente si liberò dalla mano del ragazzo addormentato, gli rimboccò le coperte.
-Grazie- esalò sottovoce; Ma sembrava come se Tae l’avesse sentito, perché sul suo viso sbocciò un sorriso sereno.
Visto che sono in un ritardo catastrofico ho pensato di lasciarvi due capitoli! (il sesto e il settimo).
Su EFP già sono più avanti, e forse il raiting della storia da arancione la passerò a rosso, ma non ne sono sicura. çwç
Devo pensarci beene.
Dai, nel prossimo capitolo arriva un attore! *^*
7° Capitolo: I wanna blood.
Camminava allegra per le strade fredde di Seoul. Quell’ anno l’inverno era veramente rigido, le temperature non superavano i tre gradi. Monji non badava molto all’ aria gelida, perché in fondo adorava quella stagione: era la sua preferita.
Forse per la presenza della neve soffice e morbida dove affondava i piedi, o perché da lì a poco sarebbe arrivato il Natale, e lei amava quella festa.
Mentre camminava, l’inebriante odore di dolciumi la fece soffermare davanti la vetrina di una pasticceria e, come una bambina, appiccicò il suo nasino alla francese al vetro –osservando i vari dolci e pasticcini-.
Sfortunatamente quel giorno non portò con sé soldi, quindi un alone di tristezza la invase. Aveva veramente tanta voglia di dolcetti quel pomeriggio, ma non poteva assaggiarne nemmeno uno per quel piccolo problema. Certo, sarebbe potuta tornare a casa, prendere il portafogli e via!, in pasticceria, ma non le andava di fare rientro a casa, anche se ci avrebbe messo pochissimo.
Si staccò dalla vetrina e sbuffò. Riprese a camminare molto lentamente: voleva assaporare quel meraviglioso panorama bianco.
Una piccola mano tirava lievemente il suo cappottino rosso: era quella di un bambino in lacrime.
-Che succede piccolo?- chiese lei inginocchiandosi, così da poter essere di uguale altezza con il bambino. –Perché piangi?- continuò lei accarezzandogli la testolina.
-Mamma. Voglio la mamma.- incominciò a dire in inglese tra i singhiozzi il bambino, saltellando.
-Oh, hai perso la mamma? Non preoccuparti vedrai che la troviamo.- disse a sua volta lei in inglese sorridendo al bambino. Gli avrebbe comprato un lecca lecca, se solo avesse portato quei dannati soldi! –Però smettila di piangere, per favore. Mh? Guardami!- disse lei e cominciò a ballare il Kiyomi. Il bimbo rise.
Lei, soddisfatta, continuò a ballare senza rendersi conto che una grande folla si era creata intorno a lei, tanto era carina.
-Monji?- una voce conoscente la chiamò. Alzò gli occhi e lo vide: il principe carismatico.
A poco a poco si rese conto della gente che la circondava.
-Ahm…- riuscì a dire imbarazzata. Si mise all’ in piedi e si inchinò, facendo sfumare quella nuvola di persone. Se ne andarono tutti tranne Minho.
-Chi è lui? Tuo fratello?- chiese Minho sorridendo al bambino. –Ehi, piccolino. Hai gli occhi gonfi; la sorellona ti ha fatto piangere?- domandò al bimbo che lo scrutava con i suoi grandi occhioni da dietro il braccio della ragazza al quale era aggrappato. –Veramente non è mio fratello. Ha perso la mamma- disse Monji.
Minho osservò il bambino, poi lei. –Mh, già.. Non vi assomigliate. Lui è bello e tu sei brutta- finì poi con una risata.
-Potevi notarlo anche dal fatto che non ha gli occhi a mandorla. Non ti capisce quando parli, è americano.- disse Monji, che osservava ora a destra, ora a sinistra nell’ intento di trovare la madre.
-Shh.- fece zittire Monji. -Come ti chiami?- chiese Minho, stavolta in inglese, al bimbo. –Kevin- rispose lui, afferrando la domanda.
-Bene Kevin, andiamo a cercare la mamma- disse infine il ragazzo prendendo la manina del bambino.
Erano in una stradina isolata, non c’era nessuno tranne un signore sulla quarantina d’anni.
-Sei sicuro di aver preso questa strada con tua madre?- chiese Monji a Kevin, che adesso aveva assunto uno sguardo strano. Continuava ad osservare il quarantenne, quasi ne fosse ipnotizzato.
-Kevin?- lo richiamò Monji, notando la distrazione del più piccolo. -Ho fame- disse Kevin, con voce strana. -Oh, hai fame?- chiese Minho. -Aspettate qua, vado a comprare qualcosa da mangiare in quel supermercato. Ti piacciono i biscotti, Kevin?- domandò osservando il bambino che non levava gli occhi di dosso al signore. -Si- rispose il bimbo. -Bene, sedetevi in quella panchina. Io arrivo tra qualche minuto.- e Minho sparì dentro il supermercato.
Kevin si liberò della mano di Monji e come un razzo si fiondò sul signore, facendolo cadere a terra. Si avventò sul suo collo, quasi fosse impossessato. -Kevin!- urlò Monji, fiondandosi anche lei velocissima sul bambino. Il signore scappò spaventato, ma Monji rimase lì a trattenerlo: a trattenere quel piccolo vampiro. –Allora.. Anche tu sei un vampiro, eh?- chiese lei, tenendo stretto il bambino che cercava di liberarsi dalla forte stretta della ragazza. –Cosa? Sangue, voglio sangue.- urlò il bambino. I suoi occhi diventarono rossi. -Anche io sono un vampiro- e gli fece vedere i canini per intimorirlo. -Calmati adesso! Hai solo fame!- continuò lei, bloccando il bambino alla panchina. –Ho sete… Tanta sete... Voglio sangue!- continuava a urlare il piccolo americano. Si liberò dalla stretta della ragazza e addentò una signora che passava di lì. La donna urlò, ma Monji questa volta non riuscì a salvare questa povera vittima.
Il corpo di essa era steso a terra, la neve che la circondava non era bianca ma rossa, come il vino.
Gli occhi del bambino non erano più rossi, ripresero il loro colore naturale: castani.
Monji non sapeva che fare, davanti a sé si mostrava uno spettacolo orribile: Kevin con il sangue appena bevuto che gli colava nel mento, che osservava la povera vittima senza vita.
Il piccolo vampiro si avvicinò al corpo ormai vuoto e dopo aver velocemente scavato una fossa glielo gettò, ricomprendo la buca.
-Come hai potuto farlo? COME!?- urlò Monji; i suoi occhi non erano più castani, ma presero il colore del miele con sfumature di rosso.
Prese il bambino e lo bloccò al tronco di un albero -Dovrei ucciderti dopo quello che hai fatto, mostro!-. Kevin fece spuntare i canini e diede un calcio a Monji, che cadde a terra.
-Ma come? Vuoi uccidere un povero bimbo di cinque anni?- domandò Kevin, staccando un ramo dall’albero.
-Da quanto tempo sei rinchiuso in quel corpo?- domandò Monji, osservando il ramo.
-Ventisette lunghi anni. Ormai sono destinato a stare così fino alla morte, ma questo corpo mi aiuta a trovare il cibo, ahahah- rise.
-E la tua presunta madre?- domandò. –C’è l’hai sotto i piedi.- detto ciò andò contro Monji per infilzarla con il ramo, ma la ragazza fu più veloce da fargli volare il pezzo di legno dalle mani e spostarsi.
Prese il trentaduenne intrappolato nel corpo di un bambino e lo scaraventò contro la finestra di un palazzo abbandonato. La ragazza prese il paletto di legno da terra ed entrò nel palazzo.
Erano faccia a faccia. Entrambi tenevano tra le mani un pezzo di legno affilato, predisposti per l’ultimo round.
Kevin ancora con le labbra e il mento tinto di rosso, girava e rigirava l’arma con il quale aveva deciso di trafiggerla.
-Monji! Kevin! Dove siete?-Era Minho. Kevin fece un leggero risolino, si avvicinò alla finestra e gettò il legnetto: ecco il pranzo.
-Non toccare Minho!- urlò Monji con le lacrime agli occhi.
Kevin saltò dalla finestra diretto verso la sua preda, ma non fece un lungo viaggio: Monji lo aveva trafitto, dritto al cuore con il legno.
Ma non stava bene, anche lei perdeva sangue. Con le poche forze che aveva rientrò nel palazzo, nascoste quell’ essere sotto ad un lenzuolo e piano piano uscì da quel palazzo. –Minho..- sussurrò lei, osservando il ragazzo, poi cadde a terra.
-Monji!- urlò Minho, correndo verso di lei. –Che hai?-
-Ho…- disse lei con un fil di voce.
-Hai? Cosa? Dimmi!- chiese lui, prendendole il viso tra le mani preoccupato.
-..Fame..-
Minho non si arrabbiò; Non pensò neanche che fosse una ragazza strana. Al contrario rise lievemente, stringendo più a sé Monji che adesso apriva il sacchetto dove dentro c’erano i dolcetti. –Hai comprato i dolcetti?- chiese lei meravigliata. –Non dovevi comprare i biscotti?- domandò ancora.
-Mi andavano i dolcetti-
In realtà ti avevo vista davanti la vetrina della pasticceria.E se ne andavano. Monji ancora con le ferite doloranti. Ma non ci fece caso, sapeva che a poco si sarebbero rimarginate, perché lei era un vampiro; E i vampiri non muoiono per una ferita che per un normale essere umano potrebbe essere fatale.
Non sto male adesso.
Sto semplicemente urlando dentro.****
Nel marciapiede ghiacciato lo scalpitio degli stivali- importati dall’ Italia- di Jinki era più evidenziato dalle altre giornate, ma quel rumore non gli dava fastidio perché troppo preso dai suoi pensieri. Quel dì, infatti, si stava recando a casa dei fratelli Kim: Jonghyun aveva qualcosa di molto importante da discutere.
Arrivò al cancello della villa, suonò e dopo aver risposto alla domanda
Chi è? di Kibum, entrò in casa.
Si levò il cappotto e lo diede a Kibum che svelto lo appese all’ attaccapanni.
-Che mi deve dire Jonghyun?- chiese Jinki levandosi i guanti di pelle neri. –Non lo so, lo ha tenuto nascosto anche a me- rispose facendo strada a Jinki in cucina.
-E adesso dov’è?- chiese sedendosi sulla sedia bianca. -In giardino. Sta per arrivare.- disse Kibum -Caffè?- domandò poi, facendogli vedere la caffettiera di vetro. -Vino rosso?- chiese a sua volta Jinki. -Ma tu bevi solo vino rosso?- Jinki per tutta risposta alzò le spalle.
Nella stanza fece capolino Jonghyun. –Come siamo eleganti- commentò Jinki osservando l’abbigliamento formale del ragazzo appena arrivato. –A cosa dobbiamo tutto questo fascino?- chiese poi appoggiando i gomiti sul tavolo di vetro. –Devo fare un discorso importante-.
E Jinki assunse una postura più seria di quella che, poco prima, poteva sembrare briosa.
-Di che si tratta?- chiese attribuendo un tono basso alla voce.
-Ecstasy.- rispose Jonghyun sedendosi di fronte a lui.
Kibum prese subito posto a capo tavola, non voleva essere da nessuna delle due parti: solo neutro.
-Qual è il tuo problema?- chiese Jinki fulminandolo con gli occhi. Poi si girò verso Kibum -Caffè-. Il ragazzo si alzò per prendere la caraffa di caffè leggermente scazzato. -Ecco!- esalò mettendogliene un po’ nella tazzina. -Attento che è..- non riuscì a finire la frase che Jinki si era già scottato. -..Caldo..- finì la frase Kibum, osservando tutto il caffè sulla tavola.
-Cazzo, brucia!- urlò Jinki.
Bussarono alla porta, Jonghyun andò ad aprire mentre suo fratello puliva il ripiano.
Era Taemin.
-Che ci fai qui?- chiese Jonghyun. -Come? Non posso venire a trovare i miei amici?- domandò Taemin facendo il finto offeso. -Tsk, entra. Sei arrivato al momento giusto- disse facendolo entrare in casa -Al momento giusto? Avete invitato delle nudiste?- a quella possibilità gli occhi incominciarono a brillargli.
Entrarono ambedue in cucina. -Oh, c’è Jinki- commentò Taemin deluso.
-Il nostro Jonghyun deve parlarci di Ecstasy.- disse il più grande di tutti rivolto al più piccolo; Gli mandò un’occhiata che il ragazzo afferrò e subito si sedette vicino al capo.
-Bene. Parla.- ordinò Jinki.
-Io.. Non vedo il motivo del perché dovremmo uccidere la ragazza- cominciò Jonghyun.
-Ma che cazzo stai dicendo?- s’ intromise Taemin.
-Zitto Taemin, lascialo finire.- lo zittì Jinki.
-Insomma, non vi ha fatto nulla di male.. O sbaglio?- disse un po’ intimorito Jong.
-Quindi mi stai chiedendo di salvarle la vita? Ma dove hai sbattuto la testa?- chiese Jinki.
-Rispondi alla domanda.- pronunciò Jonghyun.
-Questo essere mi provoca fastidio. E i moscerini che mi donano seccatura devono essere sterminati. Hai capito?- spiegò in modo minaccioso Jinki.
-Ma tutto quest’interesse per la vita di questa sconosciuta da dove l’hai preso?- chiese ad un certo punto Taemin. -Cosa? Forse hai paura delle conseguenze?- continuò.
-Taemin ascolta...- cercò di spiegare Jong. -No, ascolta tu. Fino ad ora hai sempre ucciso, senza alcun problema. Adesso che è arrivata lei ci molli in questo modo? Sei proprio uno stronzo!-
-Giochiamo a poker.- s’ intromise Jinki. -Se vinco io si fa quello che dico. Se vinci tu la ragazza è libera, va bene?- domandò facendo un mezzo sorriso, poi si accese una sigaretta.
-Ci sto.-
Kibum prese le carte e le diede a Jonghyun, che adesso le mescolava.
Le quattro carte, due per Jinki e due per lui, ecco che svettavano veloci sul tavolo.
Jinki sorrise. Jonghyun ricambiò.
-Vai avanti?- chiese Jonghyun a Jinki.
Jinki aspirò il fumo dalla sigaretta, poi lo gettò fuori. -Mi sono mai tirato indietro?-
Ed ecco che tre carte scoperte, messe in fila scorrono nel banco.
Re di cuori. Quattro di quadri. Jack di picche.Nuovamente risero.
-Continui?-richiese Jong.
-Certo.- disse tenendo la sigaretta in bocca per osservare nuovamente le sue due carte.
Dopo aver scartato una carta ecco che un’ altra scivola sul piano di vetro.
Jack di cuori.Il viso di Jonghyun s’ illuminò.
Tutto stava nell’ ultima carta. Tutti e due erano molto sicuri di sé.
Jonghyun mise sul tavolo l’ultima carta.
Dieci di cuori.-Ho un full! Tre Jack e una coppia di quattro.- commentò felice Jonghyun. -Prova a batterlo!-
-Quanto sei sciocco, Jonghyun.- Jinki fece uscire il fumo dalla bocca, poi rimise la sigaretta in bocca e abbassò le carte, incurante dello sguardo confuso e preoccupato del moro di fronte a sé. –Io ho scala reale.- e rise. Rise fragorosamente e insieme a lui si aggiunse anche la risata di Taemin, felice della vittoria del capo. –Forse ancora non hai capito.. Quanto io sia potente- disse a Jonghyun. –Ti ho a cuore, quindi per questa volta te la lascio passare. Ma non credere che sia così anche la prossima.- minacciò osservandolo con occhi infuocati.
Jinki si alzò dalla sedia, gettò la sigaretta nel posacenere e posò la tazzina nel lavello e si rimise i guanti neri. –La prossima volta se devi fumare.. Fuori!- gli disse Kibum, prima che il più grande varcasse la porta insieme al più piccolo.
Jonghyun era immobile. Aveva perso. E adesso cosa poteva fare? Come risolveva questo problema? I cherubini e i serafini che gli avrebbero detto e consigliato? Proprio non ne aveva idea. Ma cercare consiglio da loro non era affatto una brutta idea.